Internazionale: il concetto di melting pot applicato al calcio
Giocatori, allenatori e ora anche proprietari. L'Internazionale, nata per dare la possibilità agli stranieri di giocare in Italia si conferma la squadra più...internazionale d'Italia. E continua a segnare "prime volte" in Serie A
Milano, 2 maggio 2021. Il presidente dell’Inter esulta insieme ai dirigenti del club per la vittoria del diciannovesimo scudetto arrivato dopo undici anni di astinenza e a cinque dal passaggio di mano all’attuale proprietà. Insomma, nulla di strano: il proprietario di una squadra di calcio che celebra il suo primo trofeo non è assolutamente un fatto che, come si dice in gergo, “fa notizia”. Eppure, se si aggiunge anche solo un dettaglio ci si trova catapultati non solo davanti a una semplice notizia, bensì a un fatto storico: Steven Zhang, 29 anni da Nanchino è il primo presidente straniero a vincere in Italia. E questo non poteva che accadere a un club che si chiama Internazionale.
Internazionale: di nome e di fatto
Nomen omen dicevano i latini, nel nome si cela il destino e il destino dell’Internazionale di Milano pare risiedere proprio in quel suo nome “che implica o riguarda i rapporti o la partecipazione di più Paesi”. È stato così dalla sua fondazione nel 1908 e continua a esserlo ancora oggi. Quando i soci fondatori, dissidenti del Milan, si ritrovarono al ristorante Orologio nel capoluogo lombardo decisero di creare una squadra di calcio che, come riportò la Gazzetta dello Sport, si prefiggeva lo scopo “di facilitare l'esercizio del calcio agli stranieri residenti a Milano”. Il Milan, infatti, aveva deciso di non ingaggiare altri stranieri oltre a quelli già presenti in rosa, da qui la decisione di creare una squadra che fosse, appunto, Internazionale e desse agli stranieri la possibilità di giocare in Italia.
Fin da subito, quindi, la componente non italiana è stata predominante all’interno della società nerazzurra. Oltre ad alcuni soci fondatori, anche il capitano non era italiano: fu infatti Hernst Marktl il primo calciatore a guidare l’Inter dal campo. Se si guarda poi la formazione del primo scudetto, quello del 1910, si capisce che la componente straniera era già molto importante: Campelli, Fronte, Zoller I, Jenni, Fossati, Stebler, Capra II, Payer I, Peterly I, Aebi, Schuler. Erano infatti svizzeri Schuler, Zoller, Peterly e Stebler.
Una tradizione più forte del Fascismo
Negli anni Venti, però, questa tendenza all’internazionalismo della formazione milanese venne messa a dura prova dall’avvento del regime fascista. In una dittatura che non vedeva di buon occhio le parole straniere e che arrivò persino a tradurre i cognomi degli stessi sudditi del regno (come tristemente noto in Sudtirolo), una squadra con quel nome che, tra l’altro, ricordava anche l’Internazionale comunista, doveva adattarsi: fu così che, nel 1928, l’Internazionale divenne l’Ambrosiana. Questo, unito alle sciagurate leggi fasciste, non fermò però la tradizione nerazzurra: un allenatore ebreo ungherese, Árpád Weisz, fu infatti il vincitore del primo campionato a girone unico della storia del calcio italiano, proprio alla guida dell’Int…pardon della “fascistissima” Ambrosiana. Purtroppo per lui Weisz, che fu costretto anche a italianizzare il suo cognome in Veisz, avrebbe trovato la morte ad Auschwitz.
La Grande Inter di Helenio Herrera
Terminati gli incubi della dittatura e della sanguinosa e distruttiva Seconda guerra mondiale, l’Internazionale, tornata tale, riprese il suo cammino grazie ai gol di un argentino che sembrava non sbagliare mai: Antonio Valentín Angelillo, da Buenos Aires, infatti fu uno degli attaccanti più prolifici dei suoi tempi e, con 33 gol messi a referto nella stagione 1958-59 segnò un record che resiste ancora oggi. Nessuno, infatti, è più riuscito a realizzare tanti gol in un solo campionato nei tornei a 18 squadre. Pochi anni dopo, invece, è la volta di un altro argentino, questa volta in panchina: Helenio Herrera divenne il primo allenatore straniero a vincere la Coppa Campioni con una squadra italiana e il primo allenatore a vincerla per due anni consecutivi sempre alla guida di una formazione del Bel Paese, nel 1963-64 e 1964-65. Un record, questo, eguagliato solo alla fine degli anni Ottanta da Arrigo Sacchi. Del primo, invece, si parlerà più avanti…
Tempi moderni: gli undici tutti stranieri
Negli anni della chiusura delle frontiere, tra il 1966 (dopo la disfatta con la Corea del Nord da parte della Nazionale di calcio) al 1980 l’Inter fu giocoforza obbligata a schierare solo italiani. Negli anni Ottanta però le cose cambiarono e furono diversi gli stranieri che tornarono a vestire la maglia del club meneghino. Furono però gli anni Novanta e Duemila che regalano altri record e altri primati alla componente straniera dell’Inter. Nel 2006, contro la Juventus, l’Inter scese infatti in campo con undici titolari non italiani per la prima volta nella storia. Questa la formazione di allora: Julio Cesar tra i pali, Burdisso, Cordoba, Samuel e Zanetti in difesa, Cambiasso, Figo, Stankovic e Veron a centrocampo, Martins e Adriano in attacco. Stranieri furono anche i giocatori che entrarono dalla panchina: Kily Gonzalez, Cruz, Recoba.
Nel 2010, annus mirabilis per i colori nerazzurri, l’Inter tornò alla vittoria in Coppa Campioni, ora chiamata Champions League: a guidare il club alla vittoria fu l’allenatore portoghese José Mourinho, secondo straniero dopo Herrera a vincere la coppa dalle grandi orecchie con un club italiano. L’Inter, a oggi, non ha mai vinto il titolo con un allenatore italiano seduto in panchina. La formazione della storia finale di Madrid, ancora una volta, fu completamente straniera: Julio Cesar; Maicon, Lucio, Samuel, Chivu; Zanetti, Cambiasso; Pandev, Sneijder, Eto'o; Milito. Mourinho, inoltre, è anche il primo e finora unico allenatore ad aver vinto un Triplete con un club italiano.
Se della Champions si è detto, va anche evidenziato l’aspetto dell’altro trofeo internazionale: la Coppa Intercontinentale, poi Mondiale per club. Anche in questo caso, l’Inter ha trionfato solo con stranieri in panchina: Herrera nelle due coppe degli anni Sessanta, lo spagnolo Rafa Benitez nel 2010. Il tecnico di Madrid, in occasione della finale contro il Mazembe, mandò in campo il seguente undici: Julio Cesar; Maicon, Lucio, Cordoba, Chivu; Zanetti, Cambiasso, Thiago Motta, Eto'o; Pandev, Milito. L’unico italiano, quel giorno, era un naturalizzato: il brasiliano Thiago Motta.
Nel 2014, il capitano dell’Inter si è ritirato: l’argentino Javier Zanetti ha infatti appeso le scarpette al chiodo dopo oltre 1000 partite. Di queste, 615 le ha disputate in Serie A numero che lo rende ancora oggi lo straniero con più presenze nel campionato italiano. Due anni dopo, poi, è stata la volta della prima partita della storia del calcio italiano in cui, nella massima divisione, nessuna delle due squadre ha schierato un italiano: la partita tra l’Udinese e l’Inter ha visto infatti in campo due formazioni titolari composte completamente da stranieri.
E si arriva a oggi, con Steven Zhang primo presidente straniero della storia del calcio italiano a vincere un titolo. Per la cronaca, c’è anche un altro piccolo record da citare: il capitano dell’Inter attuale, lo sloveno Samir Handanovic, è il secondo straniero con più presenze in Serie A, dopo Zanetti, e il primo portiere non italiano. Insomma, l’Internazionale non sembra in alcun modo intenzionata a rinunciare alla sua tradizione unica nel calcio italiano.
Federico Sanzovo