Parole, parole, parole
Cominciamo a usare quelle giuste.
Si è lasciato cadere con furbizia. Ha fatto ricorso al mestiere. Ha guadagnato un rigore grazie alla sua esperienza. Queste sono alcune delle espressioni che leggiamo sui giornali quando si parla di giocatori inclini a indirizzare le scelte arbitrali: in termini meno politicamente corretti, giocatori che tentano di ingannare (spesso riuscendoci) il direttore di gara. La questione è tornata di scottante attualità dopo l’ultima Juventus-Inter, partita sicuramente condizionata da episodi - per usare un altro termine molto di moda - che stanno facendo discutere ben oltre i nostri confini nazionali e che rischiano di avere un peso non indifferente nella corsa per qualificarsi alla prossima Champions League.
Qualcuno, riecheggiando Mina, potrebbe liquidare rapidamente la questione: parole, parole, parole. Il problema è che le parole sono importanti, soprattutto se a sceglierle sono dei professionisti dell’informazione. Credo quindi che sia lecito chiedersi perché un gesto spregevolmente antisportivo come la simulazione venga spesso dipinto come una furbata e quasi mai per quello che è: una grave scorrettezza. Chi cerca di indirizzare l’arbitraggio di una partita infatti non fa altro che tentare di ottenere, ricorrendo a dei mezzi illeciti, ciò che non è capace di conseguire lealmente.
D’altro canto, se pure un opinionista tradizionalmente non ostile alla Juventus come Marocchi parla - riferendosi a Cuadrado e a Chiellini - di giocatori “che sono inarbitrabili, alla costante ricerca di un vantaggio arbitrale” dovrà pure esserci qualcosa che non va. Il problema è che non ce ne accorgiamo più: ci siamo assuefatti ai tuffi (conditi da urla strazianti) a cui Chiellini ricorre ogni volta che incrocia un attaccante a lui superiore, così come siamo ormai abituati alla chirurgica ricerca delle gambe del difendente operata da Cuadrado nell’area di rigore avversaria. Quasi non ci vediamo più nulla di male: ci hanno insegnato a scambiare per mestiere ed esperienza ciò che è semplicemente inganno.
A pensarci bene, in Italia abbiamo considerevoli difficoltà nella scelta della terminologia adeguata, quando si parla di determinate situazioni. Chi truffa lo Stato timbrando in ufficio per poi tornarsene a casa è un furbetto del cartellino, chi trova il modo di sottrarre al fisco milioni su milioni è un furbetto con i conti all’estero: il nostro Paese è pieno di furbi. Non di criminali, per carità, che il crimine è una cosa brutta e a noi che siamo onesti non piace.
I furbi invece vanno bene, anzi, li stimiamo. E forse - inconsciamente - li invidiamo, perché non fanno mica come i poveracci che si spaccano la schiena dieci ore al giorno per portare a casa lo stipendio: conoscono le persone giuste, prendono le strade giuste, frequentano i luoghi giusti… è tutto così giusto che nemmeno ci passa più per la testa di pensare che il loro successo sia frutto dell’inganno. I furbi sono persone che “hanno vinto” nella vita, e siccome vincere è l’unica cosa che conta non ci importa con quali mezzi siano arrivati alla vittoria.
Come si può sovvertire questo stato delle cose? Sinceramente non ne ho idea. Credo però che cominciare a usare dei termini adeguati a ciò di cui si parla sarebbe già un primo passo: staremmo tutti meglio, e pazienza se ci saranno un po’ meno furbi in giro.