Lode al Chino
Nel giorno del suo 46esimo compleanno, alcuni pensieri e ricordi di uno dei giocatori più geniali e allo stesso tempo incostanti della storia nerazzurra
“Ogni artista intinge il pennello nella sua anima, e dipinge la sua stessa natura”.
L’aforisma è di Herny Ward Beecher, politico inserito nella primaHall of fame of Great Americans, e sembra fatto apposta per un ragazzo uruguaiano nato diversi anni dopo in Sud America. Il suo pennello in questo caso è il piede sinistro, con cui colora le domeniche di milioni di tifosi e appassionati da Montevideo fino a Milano. Attraversa l’Atlantico per la prima volta nel 1997. Per tutti i tifosi nerazzurri Alvaro Recoba, detto “El Chino” per via dei suoi lineamenti quasi orientali, è un perfetto sconosciuto. È un fantasista ventunenne proveniente dal Nacional de Montevideo,che nessuno immagina possa diventare croce e delizia dei tifosi interisti per i successivi dieci anni.
Preferito del presidente Massimo Moratti, Recoba ha immediatamente diviso gli interisti: El Chino o lo ami o lo odi, non esistono mezze misure. E che con lui non esistano compromessi Recoba lo fa capire al mondo intero il 31 agosto 1997. È la prima giornata di campionato e a San Siro l’Inter ospita il Brescia. 80.000 persone riempiono gli spalti del Meazza pronte ad acclamare il Fenomeno Ronaldo, da poco più di un mese atterrato a Milano direttamente da Barcellona. Sembra la festa perfetta; poi inizia la partita.
L’Inter ha più difficoltà del previsto a sbarazzarsi delle neopromosse rondinelle; e quando al 25’s.t. Dario Hubner porta in vantaggio il Brescia, il Meazza si ammutolisce. Sembra il classico psicodramma da Inter, in cui una festa si trasforma in incubo con un’alta percentuale di autolesionismo.
Ecco però che dalla panchina Gigi Simoni manda in campo Recoba. Il resto è storia. El Chino entra e decide che quel giorno non sarà ricordato come l’esordio del fenomeno brasiliano, ma come quello del suo, di esordio. L’uruguaiano risolve la partita con due reti da cineteca: la prima con un bolide dai trenta metri che finisce la sua corsa all’incrocio dei pali e il secondo con una punizione telecomandata che fa impazzire di gioia gli 80.000 del Meazza che escono dallo stadio felici, ma al tempo stesso storditi. Un ragazzo sconosciuto ha appena offuscato il debutto del giocatore più forte del mondo. Sembra catapultato sulla terra da un’altra dimensione questo uruguagio dai capelli lisci come la seta; tanto che essere presente quel giorno dev’esser stato come l’avvistamento improvviso di una cometa, con la felicità e lo stupore di aver assistito a qualcosa di assolutamente unico, ma senza essere ancora del tutto consapevoli di quanto ammirato.
Da quel caldo pomeriggio di fine estate inizia la parabola di Recoba nel club che più di tutti ne definirà il genio e la sregolatezza. Tra allenatori che lo capiranno più di altri, tra tifosi che lo amano e altri che non ne sopportano l’indolenza, El Chino vive gli anni migliori della carriera proprio a Milano, diventando una leggenda del club nerazzurro con cui colleziona 261 presenze condite da 72 gol, molti dei quali delle vere e proprie opere d’arte. All’Inter ha anche vinto 2 Scudetti, 2 Coppe Italia, 2 SupercoppeItaliane e 1 Coppa Uefa. Non poco, ma la verità è che Recoba rappresenta una classe di giocatore il cui giudizio non può soffermarsi alla mera conta dei titoli o delle statistiche. È la mistica continuazione di fantasisti mancini capaci di segnare un’epoca nella storia dell’Internazionale. Recoba come Corso prima e Beccalossi poi, simboli dell’Inter di ieri, ma mai dimenticati più che per i titoli, per le emozioni regalate. Nato come l’Inter sotto il segno dei Pesci, passionali e autodistruttivi; Recoba incarna e ha incarnato la cosa più vicina all’essenza, all’anima della società meneghina.
“El Chino non è stato il migliore del mondo solo perché non lo ha voluto”. Parola di Juan Sebastián Verón, suo ex compagno in nerazzurro e altro giocatore delizioso. Ed effettivamente la domanda all’origine dell’affermazione della Brujita è quella che vecchi sognatori a tinte neroblu si fanno ancora oggi: “Cosa avrebbe potuto essere il Chino se solo avesse avuto più fame? Più voglia?” “Cosa sarebbe stato il Chino senza quella pigrizia che lo portava a nascondersi quando bisognava correre in allenamento e senza quell’essere allo stesso tempo cosi antidivo e cosi sicuro dei propri mezzi? “
Una risposta certa non esiste, ma è bello pensare che forse le cose sono andate cosi perché era un Artista, un Artista del pallone nato per far divertire, per far innamorare la gente.
E pensandoci su, forse è proprio degli artisti il sentirsi sempre, almeno in parte, incompiuti.
Felicidades Chino!