Steven Zhang, Presidente dell’Inter
Steven Zhang, Presidente dell’Inter

L’Inter si appresta ad affrontare le partite decisive del suo campionato, quelle che potrebbero portarla a festeggiare un titolo che manca da oltre dieci anni. Tuttavia, nonostante la testa della classifica - a cui, in questo momento della stagione, nessuno a Milano era più abituato da tempo - l’argomento che tiene banco dopo il bluff della Superlega è ancora la necessità da parte di Suning di trovare liquidità per la gestione ordinaria del club. Liquidità che può essere reperita tramite ulteriore debito o tramite la cessione di quote societarie - e qui molto dipende dalla valutazione (alta) fatta dagli Zhang.

 

In questa partita - giocata su un campo, quello dei conti e della finanza, che abbiamo imparato essere importante quanto il rettangolo verde - i protagonisti sono sempre gli stessi da ormai qualche mese: Bain Capital Credit, che annovera tra i suoi fondatori Mitt Romney, mormone e sfidante di Obama nel 2012 per la presidenza USA, il fondo sovrano dell’Arabia Saudita PIF, Fortress (forse come veicolo per capitali provenienti dall’area del Golfo) e da qualche ora anche Oaktree Capital Management, importante hedge fund californiano.

 

Una parte della tifoseria interista auspica un cambio di proprietà per ragioni di natura essenzialmente politica: su tutte, la scarsa indipendenza da parte di Suning nei confronti del regime cinese. Molti ricorderanno la richiesta governativa, giunta a Zhang in autunno, di elargire 3 miliardi di dollari a Evergrande: dover fare a meno di una cifra simile quasi “da un giorno all’altro” - unitamente alle continue strette sull’esportazione di capitali dalla Cina - rende molto difficile la gestione (anche ordinaria) di una squadra di calcio di prima fascia. Il tutto è poi acuito da una pandemia globale che ha azzerato alcune delle principali voci di entrata - leggi incassi da stadio - del club nerazzurro.
 

Chi auspica invece la permanenza di Suning come socio di maggioranza dell’Inter lo fa essenzialmente per due motivi: il timore di finire in mano a soggetti poco interessati ai risultati sportivi della società e la riconoscenza. Riconoscenza per aver rilevato un club che galleggiava mestamente a metà classifica in una Serie A di livello certo non stellare, portandolo nel giro di cinque anni a lottare per traguardi importanti con Beppe Marotta in cabina di regia, Antonio Conte in panchina e giocatori del livello di Lukaku, Lautaro, Hakimi, Barella ed Eriksen.

 

A questo punto è però giusto porsi una domanda: che peso si può dare alla gratitudine in un contesto competitivo come quello dello sport professionistico? La questione diventa ancora più ricca di implicazioni nell’era del FFP, in cui un errore di programmazione o un investimento sbagliato possono comportare (a meno di essere nel novero di quei fortunati club più uguali degli altri, per dirla con Orwell) anni di conseguenze a dir poco spiacevoli sul piano sportivo.

 

A pensarci bene, negli ultimi dieci anni di calcio la gratitudine è stata spesso causa di notevoli problemi. Ricordo un bell’Europeo perso dall’Italia in finale (contro una Spagna fortissima, va detto) anche per l’eccessiva riconoscenza di Prandelli nei confronti del suo undici titolare. Pure la gestione post-Triplete di Moratti - da molti additata come causa della banter era dell’Inter nel quinquennio 2012-2017 - ha origine dalla smisurata gratitudine del Presidente nei confronti dei suoi senatori: forse sarebbe bastato monetizzare anche solo alcune delle richieste giunte per i protagonisti della stagione 2009/2010 per non assistere, inermi, allo sfacelo delle annate successive.
 

Suning ha sicuramente fatto un ottimo lavoro: con i suoi tempi, magari non sempre rispondenti alle dinamiche del calcio europeo, ma senz’altro di grande rilievo. Mettere in discussione il passato sarebbe quindi miope, come lo sarebbe però anche il non voler fare i conti con il futuro: fino all’acquisto di Hakimi la proprietà dell’Inter si è dimostrata complessivamente all’altezza del suo ruolo, ma a partire dall'estate 2020 il progetto sportivo si è fermato - per ammissione dei suoi stessi protagonisti - senza che sia dato sapere se e come potrà ripartire. Certo, la gratitudine nei confronti della famiglia Zhang è comprensibile, ma non si può far finta di non vedere le difficoltà che Suning si trova ad affrontare, difficoltà che le impediscono di essere presente come l’Inter meriterebbe.

 

La pandemia ha inoltre rallentato l’importante processo di costruzione di una società capace di reggersi sulle sue gambe: ancora per qualche stagione sarà necessaria una proprietà in grado di muoversi liberamente, di poter disporre di liquidità e di gestire le proprie risorse senza dover aggirare gli ostacoli inevitabilmente presenti in un regime di economia pianificata. Suning può essere questa proprietà?

 

Nello sport, come in ogni altro ambito della vita, ognuno può essere grato a chi meglio crede: l’importante è che la gratitudine, per sua stessa natura saldamente ancorata al passato, non diventi un ostacolo nel tentativo di vivere al meglio delle proprie possibilità il presente e il futuro.


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