Antonio Conte e Diletta Leotta nell'intervista visibile su DAZN
Antonio Conte e Diletta Leotta nell'intervista visibile su DAZN

Antonio Conte ha lasciato l'Inter, e verosimilmente si prenderà un anno sabbatico dopo due stagioni ad altissima intensità, nelle quali ha sì vinto il 19° scudetto, ma si è anche ritrovato (suo malgrado) a ricoprire più ruoli e fronteggiare i problemi economici di Suning e dell'Inter, dovendo calmare (quasi da amministratore delegato) i giocatori che non venivano pagati. Nel suo futuro non ci sarà il Tottenham, dopo una trattativa stoppata dallo stesso Conte. Contrariamente a quanto hanno riportato vari media, facendo infuriare l'entourage, è stato lo stesso mister a bloccare i contatti con gli Spurs: Conte chiedeva investimenti e rinforzi per inseguire il sogno-Premier, Levy ha risposto con un piano di acquisti di giovani talenti futuribili e l'addio (inevitabile, pare) di Kane. 

Piani agli antipodi che, sommati alle divergenze su stipendio e staff, hanno spinto l'ex mister nerazzurro a dire basta. Antonio Conte torna però a parlare su DAZN, nell'intervista rilasciata a Diletta Leotta per la rubrica “Linea Diletta”: un'intervista realizzata il 20 maggio e prima della vittoria dello scudetto (con annessa visita di Conte e Diletta al Duomo, dove il mister non era mai stato), ma pubblicata solo oggi da DAZN con il titolo “L'ultimo ballo”. Essendo stata registrata il 20 maggio, ovviamente l'intervista non parla dell'addio all'Inter, ma ci mostra varie passioni di Antonio Conte, compresa quella per… il flipper, con annessa lezione tattica sul gioco a Diletta Leotta. Di seguito le sue parole, riassunte per argomenti

MILANO - “San Siro ti porta a provare sempre qualcosa in più. Non sono una persona che si accontenta delle situazioni comode, penso di aver scelto la situazione più difficile. A Milano mi trovo veramente bene, anche se non ho potuto viverla per il COVID. Mi sono milanesizzato, mantenendo però le mie origini pugliese.“Oh mia bela Madunina"? La conosco, ma è meglio che non provi a cantarla (ride)".

VOCE - “A inizio carriera finivo sempre senza voce, non riuscivo mai a parlare nei post-gara e mandavo spesso l'assistente perchè non riuscivo fisicamente a parlare. Con gli anni ho lavorato anche da questo punto di vista e mi sono ”allenato", idratandomi e bevendo durante la partita, mantenendo così la voce nel post-partita (ride). Mi è sempre piaciuto cantare, ma da quando sono diventato allenatore, sono diventato stonato. Da calciatore mi piaceva molto cantare, adoro Ligabue".

TI TE DOMINET MILAN - Il mio obiettivo quando ho firmato per l'Inter era un progetto triennale, dove bisognava riportare il club ad avere l'ambizione e giocare per obiettivi importanti. Il fatto di esserci riuscito al secondo anno è una grande cosa". 

IL MOMENTO DECISIVO - “Il sorpasso al Milan. In quel momento o reggi la pressione, o cedi all'ansia da risultato. Da calciatore capisci che sei padrone del tuo destino, che vincendo puoi mettere pressione a tutte le altre e spingerle a qualche passo falso: poteva accadere un po' di ansia da risultato, poteva venirci il ”braccino", invece noi abbiamo accelerato e da lì in poi le inseguitrici hanno faticato, perchè hanno visto che davanti c'era una corazzata. Psicologicamente li abbiamo ammazzati". 

MATURAZIONE - “I ragazzi sono cresciuti tanto. Per molti di loro questo è il primo trofeo, ma vincere aiuta a sbloccarsi e a vincere come si dice. Quando vinci una volta, la vittoria deve entrarti nel cervello ed essere la tua ossessione negli anni a venire. Per vincere magari vanno esasperate alcune situazioni, ma i ragazzi sono stati veramente bravi: hanno vinto un campionato rompendo un'egemonia durata nove anni. Riuscire a fare quest'impresa rappresenta un enorme successo” .

IL METODO-CONTE - “I miei calciatori riconoscono la mia onestà. Penso che una brutta verità sia migliore di una bella bugia. Una brutta verità colpisce e magari ti spinge a crescere, anche se sul momento la persona che lavora con te può rimanerci male: in seguito però arrivano la riflessione e il miglioramento”. 

LA “CATTIVERIA” DI ANTONIO CONTE - "Durante la mia carriera da calciatore ho avuto tantissimi infortuni: a 17 anni mi ruppi la tibia, ad esempio. Tutti quegli stop mi hanno temprato e mi hanno trasmesso la forza di reagire e di far sì che l'evento negativo facesse accumulare in me ancor più cattiveria agonistica. Mi son rotto tutto ciò che si poteva rompere: tibia, perone, braccia, la caviglia e il ginocchio in Nazionale… Ma non mi sono mai arreso, mi sono temprato ed ecco perchè le difficoltà non mi spaventano. Da calciatore ero uno bravo, che ha vinto tutto in carriera, ma ha perso anche tanto: vicecampione d'Europa (2000) e vicecampione del mondo (1994), una Champions League vinta e tre perse. La cattiveria accumulata in quelle sconfitte, in quei momenti che non vorresti mai rivivere, è quella che trasmetto ai calciatori da tecnico. Tante volte hanno difficoltà a capire questa cattiveria che ho dentro, che arriva non tanto dalle vittorie, ma dalle cicatrici e dalle sconfitte che non vuoi rivivere". 

IL SACRO GRAAL - “Il mio Sacro Graal sarebbe la vittoria della Champions League: è un mio obiettivo e un mio sogno (si accendono le fiamme negli occhi di Conte, ndr), da realizzare quanto prima”. 

IL SONNO DEL MISTER - “Dormire per un allenatore non è semplicissimo. Sei responsabile di tutto, hai tanta pressione e vai a dormire sempre con i pensieri. Scacciarli, riuscire a prendere sonno e addormentarsi non è semplice. Mi è capitato a volte che, nonostante le vittorie, per pensare al ”dopo", mi sono rovinato quel pensiero. Nel momento in cui vinci e dovresti goderti il festeggiamento, invece spesso mi sono rovinato per pensare al futuro: non è stato facile per me gestire gli attimi seguenti al successo, pensavo sempre ad altri traguardi da raggiungere". 

MAESTRI - “Il mio primo presidente e il mio primo allenatore alla Juventina Lecce è stato mio padre. Non è facile per me parlarne, tuttora è il mio primo critico e il mio primo tifoso. Da ragazzo mi ha formato la strada, perchè i genitori lavoravano e tutti ci trovavamo a giocare per le vie della città: devi imparare subito a difenderti, perchè non si trovavano solo bravi ragazzi, ma anche persone poco affidabili e potenziali delinquenti. La famiglia è fondamentale per tenerti in carreggiata, mio papà mi ha dato tanto (si commuove, ndr). Papà è sempre molto chiuso e non parla tanto, ma so che è molto orgoglioso di me. Mazzone è stato un grandissimo maestro per me: a 19 anni ho segnato con lui il mio primo gol in Serie A, ma mi ha anche “massacrato”: con lui ho imparato il gioco della carota e del bastone per motivare i giocatori, nei pre e post-partita era tostissimo. Ringrazierò sempre lui e Fascetti". 

CALCIO E FAMIGLIA - “Ho una figlia che è appassionata al papà e a quello che fa, non al calcio. Spera che vinca perchè il mio umore dipende molto dalla partita (ride). Fare l'allenatore non è semplice, farlo a grandi livelli ancora meno. Lo stress aumenta tanto, devi essere bravo a gestirlo e convivere con le pressioni che certe sfide comportano. Se ho dato dei consigli a Pirlo? Se mi avesse chiesto qualcosa, gli avrei detto di non farlo! Ci sono tante mansioni nel calcio e tanti modi per legarsi a questo mondo, facendo magari l'opinionista… Stress risparmiato e vita migliore (ride)”. 

FLIPPER - “Una passione nata da ragazzino, quando stavi in strada a giocare a calcio, ma non è che ci fosse molto altro da fare. Tante volte ti rifugiavi nelle sale giochi, anche se i miei non volevano assolutamente perchè ai tempi non ci girava gente esattamente ”altolocata". Mi prendevano per un orecchio e mi portavano fuori se mi beccavano, ma io andavo sempre e guardavo gli altri giocare, sperando che qualcuno dimenticasse un gettone o ne vincesse uno, lasciandolo lì. Non avevo molti soldi per giocare, quindi aspettavo come un falco (ride e si mette a giocare, ndr). Il flipper mi rilassa e mi distoglie dal pensiero del calcio e della vittoria". 

FUTURO - “Dove mi vedo tra cinque anni? Mi piacerebbe fare delle esperienze all'estero, in America andrei volentieri. Miami o Los Angeles, abbinando l'aspetto calcistico alla vita in un bel posto, col mare e una vita più serena”.


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