Antonio Conte, ossia l’eleganza del camaleonte
Avere un’identità precisa è importante, ma in natura sopravvive solo chi sa adattarsi a situazioni differenti.
L’accusa che i detrattori muovono più spesso ad Antonio Conte è quella di non essere in grado di rivedere i propri piani: in parole povere, di essere un inguaribile testardo. In realtà, le prime undici partite dell’Inter nel girone di ritorno - ma forse, più in generale, tutte quelle successive all’eliminazione dalla Champions League - dimostrano l’esatto contrario: la squadra conserva sempre un’identità precisa, che però non le impedisce di mettere in campo alcuni accorgimenti necessari per affrontare al meglio l’avversario di turno.
In cosa consiste di preciso l’identità contiana di questa Inter? In primis, nel “dominio mentale” della partita: in tutto il girone di ritorno l’Inter non è stata un solo minuto in svantaggio, e anche nelle situazioni più bloccate i nerazzurri danno sempre l’impressione di poter portare la partita a casa, in un modo o nell’altro. Secondo tratto identitario della squadra di Conte: la solidità difensiva, ritrovata dopo gli affanni di un inizio stagione reso complicato dalla brevissima preparazione, dal tentativo di 3-4-1-2 e dalla ricerca di una pressione (troppo) alta nella metacampo avversaria.
Il terzo aspetto fondamentale dell’Inter di Conte è quello che più sta dando soddisfazione ai tifosi: l’esasperata ricerca della verticalità. Molti avranno ancora negli occhi il gol di Lukaku contro il Sassuolo, partito da cinque passaggi di prima culminati nello splendido cambio di gioco al volo di Lautaro, ma la ricerca di verticalità di questa Inter si vede anche in situazioni apparentemente più banali: i più attenti avranno notato quante volte Handanovic accetti il rischio della pressione avversaria, in attesa che si liberi la corsia centrale, per poi servire Lautaro rasoterra guadagnando - in pochi secondi - quaranta metri di campo.
A chi verrebbe in mente di andare a correre al parco con addosso dei vestiti che andrebbero bene per la prima della Scala di Milano? È vero - restando in tema “Scala di Milano” - che il calcio ha in sé un elemento estetico, che però è accessorio e non sostanziale: ci sono partite in cui per vincere bisogna aspettare e ripartire, partite “brutte e sporche”, e partite in cui giocare bene e mantenere l’iniziativa è fondamentale per portare a casa la posta intera. La striscia di successi dell’Inter di Conte è frutto dell’equilibrio tra identità e pragmatismo, tra coscienza di sé e capacità di comportarsi in modo differente a seconda delle situazioni, senza snaturare le proprie caratteristiche, ma piuttosto modulandole sull’avversario per renderle di volta in volta più letali.
Come scriveva Orazio, “Est modus in rebus”: c’è una misura nelle cose, oltre la quale è impossibile agire nel modo corretto: il tempo degli integralismi è finito e pare proprio che l’Inter abbia trovato quel tanto sospirato equilibrio che le sta permettendo, facendo gli scongiuri, di “godersi il percorso”.