Undici anni dopo
L’Inter e l’arte dell’attesa
“L'interista vive di ricordi”: quante volte ce lo siamo sentiti dire? Certo, il ricordo luminoso che ci ha tenuto compagnia, in questi undici anni davvero bui, non è proprio un ricordo. Forse è qualcosa di più. Chi si sognerebbe di dire che la Divina Commedia è solo un vecchio libro? È un classico, un’opera senza tempo. Si parva licet componere magnis, anche il Triplete è un classico: è la Divina Commedia del calcio italiano. E se l’impresa di Mourinho e dei suoi è la Divina Commedia, lo Scudetto degli uomini di Conte è - restando a Dante - la Vita Nuova.
Non è possibile amare un po’: o si ama o non si ama. Con l’Inter è lo stesso: non esistono interisti occasionali, interisti per convenienza, interisti che “simpatizzo ma non seguo tanto”. Questo splendido trionfo ci fa passare davanti agli occhi undici anni in una frazione di secondo. Undici anni difficilissimi. Undici anni di trattative durate un mese per cercare di portare M’Vila a Milano in prestito con diritto di riscatto, di giocatori meravigliosi lasciati andare per problemi economici, di tandem di attacco Rocchi-Álvarez, di trasferte in Azerbaijan il giovedì sera con la maglietta rossa.
Undici anni fatti, però, anche di speranza: sarebbe impossibile negarlo. Undici anni di pazienza, di “destini forti”, di blitz in Argentina per arrivare prima degli altri team europei su Lautaro, di giovani veterani come Bastoni, di campioni come Lukaku che, candidamente, ammettono di sentirsi finalmente a casa qui, all’Inter. Undici anni in cui abbiamo visto sulla panchina della Beneamata - con esiti alterni - undici allenatori, prima dell’arrivo decisivo di Antonio Conte.
Tra questi undici ce n’è uno che merita di essere ricordato con affetto: Luciano Spalletti. Il tecnico di Certaldo non ha vinto trofei in nerazzurro, ma ha creato i presupposti perché si potesse tornare a vincere: dopo anni di buio, Spalletti è stato il primo ad accettare di prendersi l’Inter sulle spalle, di risanare il suo spogliatoio ferito, di provare a riportarla nell’Europa che si meritava. Pure Conte, professionista che non ha giustamente mai regalato nulla a nessuno, ha riconosciuto pubblicamente come un certo tipo di lavoro all’Inter fosse stato cominciato già prima del suo arrivo.
Ecco, questo è il passato che tutti conosciamo fin troppo bene: un percorso non semplice, mai lineare, che però ci ha portati ad essere quel che siamo orgogliosamente ora. Il presente sembra suggerire che una Vita Nuova sia possibile: Conte, Marotta, Oriali, Zhang e tutti gli altri protagonisti del nuovo corso dell’Inter hanno più volte affermato di voler restare a Milano, di voler continuare a scrivere la storia in nerazzurro, di voler costruire qualcosa di bello.
Questo scudetto, di-sperato e sperato, alla fine è arrivato come un Godot atteso per undici lunghi anni. Forse ora - dopo questa esplosione di felicità - non c’è nulla di più interista che chiedersi, ancora ubriachi di presente: “E domani?”.