62 anni oggi per Walter Zenga, 62 anni a tinte necessariamente nerazzurre per un uomo che più di tutti incarna il sogno di un bambino divenuto realtà. 

Sì, perché Walter Zenga è un tifoso interista purosangue. Nato a Milano, si appassiona fin da subito ai colori nerazzurri entrando da giovanissimo (11 anni) nel settore giovanile dell’Inter. Qui compie tutta la trafila arrivando fino in Primavera, con cui vince ben tre Coppe Italia di categoria. I tempi non sono ancora maturi perché quel giovane e promettente portiere smetta di andare al Meazza da tifoso, ma in veste di numero interista. Inizia un periodo di prestiti molto formativo, dove veste tra C2, C1 e B le maglie di Salernitana, Savona e Sambenedettese, per poi tornare a Milano nel 1982 dove per una stagione veste i panni di vice di Ivano Bordon, per poi scalzarlo definitivamente nella stagione seguente, diventando un punto di riferimento per oltre un decennio di storia nerazzurra. Resta all’Inter fino al 1994, vincendo lo Scudetto dei Record, 1 Supercoppa Italiana e 2 Coppe Uefa. Negli anni di permanenza in nerazzurro è uno dei migliori portieri a livello mondiale, vincendo anche il premio IFFHS quale miglior estremo difensore del mondo per tre anni consecutivi dal 1988 al 1990.

Dopo 473 presenze e un amore assoluto con l’ambiente interista, Zenga ha chiuso la carriera altrove tra Sampdoria, Padova e New England Revolution, incominciando poi proprio in America una lunga carriera di allenatore, che lo ha portato anche a vincere su panchine prestigiose come quelle di Stella Rossa e Steaua di Bucarest. È sbarcato anche in Serie A, dove ha fatto benissimo soprattutto a Catania, e dove in alcuni momenti è stato anche accostato alla panchina nerazzurra. Si dice infatti che per ogni contratto che firmi, Zenga inserisca sempre la clausola “Inter”, che gli concederebbe di potersi liberare prima della fine del contratto solo in caso di chiamata nerazzurra. Ritorno che però non si è mai verificato, nonostante per stessa ammissione dell’Uomo Ragno, ci siano stati un paio di momenti in cui le due parti sono state vicine ad incontrarsi nuovamente.

Tra chi gradirebbe il suo ritorno e chi invece non vorrebbe rischiare di rovinare in qualche modo tanta leggenda, sta Walter Zenga aspettando una chiamata che per lui avrebbe un significato speciale:

“Il giorno in cui l’Inter mi chiamerà potrò pure morire”.

Per ora però la chiamata non è ancora arrivata e la carriera in panchina di Zenga sembra essersi adagiata ad un livello intermedio, più lontana dal livello richiesto per allenare l’Inter rispetto al passato e rispetto anche all’esperienza accumulata nella sua ormai ventennale carriera. Se gli inizi da allenatore erano stati ancor più folgoranti che da calciatore, Zenga ha perso negli ultimi anni un po’ di terreno a causa di scelte sbagliate dettate dall’aspetto economico, e probabilmente perché si è sempre distinto per una schiettezza fuori dal comune. Ma quella che per molti è una qualità di cui andar fieri, nel sistema calcio non è altrettanto gradita. Se nei suoi anni tra i pali ha messo d’accordo tutti sul fatto di essere il numero uno, la non idilliaca relazione con Sacchi lo portò all’esclusione da Usa’94, dopo una Coppa Uefa vinta con l’Inter nella quale era stato nominato man of the match della finale. Il forte carisma di Zenga, uno che non si allinea mai perché deve, probabilmente fu una delle ragioni. Nonostante questo la sua carriera è impressa nella storia del calcio mondiale. Da allenatore però, la totale assenza del verbo “leccare” dal dizionario del numero uno milanese ha probabilmente pesato fin dai suoi primi anni di carriera. Quell’essere fuori da un sistema in cui di raccomandazioni e buoni rapporti si viveva e si vive tutt’oggi, lo ha penalizzato. Ma c’è ancora tempo per sognare perché no, non hanno ancora ucciso l’Uomo Ragno.

Auguri Walter!


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